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Quando il datore di lavoro non può licenziare.

Sara Bonomelli3 Novembre 20223 Novembre 2022

L’atto in cui un datore di lavoro recede unilateralmente dal rapporto di lavoro è chiamato licenziamento, ma non sempre può essere fatto. Ogni licenziamento deve essere motivato da giusta causa e il nostro ordinamento, in alcuni casi, riconosce un vero e proprio divieto di metterlo in atto.

Esiste una normativa infatti che vieta al datore di lavoro di licenziare quando si trova di fronte a situazioni particolari e, quando non viene rispettata, oltre a dover reintegrare il dipendente sul posto di lavoro, è previsto il pagamento di un’indennità risarcitoria.

Vediamo ora in dettaglio quando non è possibile licenziare un dipendente.

Come prima cosa ci sono dei periodi particolari in cui il lavoratore è protetto da licenziamento.

– Non si può licenziare un dipendente quando è in periodo di infortunio o malattia, la legge però fissa un termine chiamato “periodo di comporto” oltre al quale, se si protrae l’assenza, è possibile licenziare.

– Se il dipendente sciopera non può essere licenziato, come stabilito dalla Legge n. 300/1970.

– Un dipendente che ricopre incarichi sindacali non può essere licenziato fino a un anno dalla cessazione dell’incarico, mentre è solo di tre mesi dalle elezioni per i candidati non eletti.

– Per le lavoratrici è prevista una tutela nel periodo di gravidanza e maternità, tra l’inizio del periodo di gravidanza all’anno di età del bambino, come stabilito ai sensi dell’articolo 54 del D.Lgs. 151/2001

– una regola che vale per solo per le lavoratrici è il divieto al licenziamento nel periodo che va dalla richiesta di pubblicazione a un anno dopo la celebrazione delle nozze, ai sensi dell’articolo 35, D.Lgs. 198/2006

– situazione ormai in disuso, ma anche durante il periodo del richiamo alle armi è vietato licenziare.

Oltre a queste situazioni ricordiamo il divieto al licenziamento discriminatorio, ovvero quando viene attuato per ragioni di tipo politico o di fede religiosa, per etnia, lingua od orientamento sessuale.

Se il datore di lavoro contravviene a queste regole il nuovo regime sanzionatorio, contenuto nel D.Lgs. 23/2015, prevede una tutela piena nei confronti del dipendente licenziato, riconoscendo come prima cosa il diritto di reintegro della sua posizione lavorativa, oltre ad un risarcimento che si attesta a non meno di 5 mensilità di stipendio.

Va però ricordato che il divieto di licenziamento non è assoluto, infatti il legislatore riconosce delle deroghe per cui l’azienda può procedere anche nei momenti sopra elencati, in cui il licenziamento sarebbe vietato.

I casi in cui si può attuare il licenziamento sono quando sussiste una giusta causa, ovvero quando il lavoratore è colpevole di fatti che compromettono la fiducia col proprio datore, quando l’azienda cessa la sua attività e quando, anche se non si può considerare vero e proprio licenziamento, quando un contratto con scadenza giunge al termine e quindi non viene rinnovato.

leggi, licenziamento, sindacato

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